Ospite Marco Ferrari, geometra e musicista
Ascolta il Disco Base della settimana
1. IVANO FOSSATI "La Pianta Del Te"
2. IVANO FOSSATI "L'uomo Coi Capelli Da Ragazzo"
3. IVANO FOSSATI "La Volpe"
4. IVANO FOSSATI "Questi Posti Davanti Al Mare"
5. IVANO FOSSATI "Le Signore Del Ponte-Lance"
La pianta del tè è l’album della definitiva conferma di Ivano Fossati come autore raffinato e musicista di prim’ordine. La prova più lampante della distanza da certe spigolosità degli esordi è il confronto tra “La costruzione di un amore” nella contorta e tormentata versione originale con quella cristallina e impeccabile di questo disco, che è nel complesso perfetto nell’orchestrazione, e alterna originali e colti spunti etnici, intrisi di spezie orientali, a composizioni più classicamente occidentali, il tutto sostenuto da un’inventiva in stato di grazia e da una cura quasi maniacale dei particolari. Basta e avanza per compensare certi eccessivi ermetismi dei testi, che sono e saranno sempre ricorrenti nel suo canzoniere.
Capolavoro nel capolavoro è proprio la title track, “La pianta del tè” (parte I e II), il cui fascino notturno, lunare e misterioso è reso dal contrasto tra i vellutati flauti di canna andini e le percussioni ostinate e inquietanti, ma mai invadenti. Già stupenda la prima parte, ma la seconda raggiunge vette da brivido, con i flauti di Una Ramos che scatenano tutto il loro potere magico, trasportando davvero in cima a qualche picco cileno o peruviano. Analoga ambientazione notturna ha “La volpe”, cupa filastrocca dove non stona neanche il tipico belato di Teresa De Sio, qui usato come appropriato controcanto alla secca voce di Fossati. Momento di profonda malinconia è “L’uomo coi capelli da ragazzo”, dove il clima di solitudine e malattia, ancora più che dal testo, è reso dall’estrema tensione creata da un basso che ronza insistentemente e dall’implacabile ripetizione di una nota di tastiera a intervallo fisso, un “effetto goccia” che copre tutto il brano.
“Questi posti davanti al mare” è costruita su una melodia elementare, ma è aperta e chiusa da una squillante fanfara di tastiere; possiede un ritmo complesso ma irresistibile (difficile tenere le mani ferme), e, come se non bastasse, è nobilitata dalla partecipazione di Fabrizio De André e Francesco De Gregori. L’altro nume tutelare di Fossati, ovvero Paolo Conte, non compare di persona, ma viene più che evocato in un delizioso quadretto alla francese, “Le signore del Ponte-Lance”, per pianoforte e voce, degno di certe analoghe composizioni dell’avvocato di Asti.
Anche i brani leggermente meno ispirati contengono sempre qualche preziosismo che li rende inconfondibili: vale per “Terra dove andare”, con il suo ardito accostamento di fisarmonica e ritmo reggae, e per “Chi guarda Genova”, la cui elaborata ritmica, sempre di ispirazione caraibica, è scandita anche da un insolito flauto che affianca la consueta batteria. Eppure, in entrambi i casi il risultato è non solo estremamente originale, ma anche assai gradevole. Merita un cenno anche la breve chiusa, “Caffè lontano”, in cui il limpido suono dell’arpa celtica addolcisce una voce un po’ lamentosa. Contiene tra l’altro un verso illuminante alla Paolo Conte: “I londinesi sono ombrelli in pena…” Geniale, come tutto il disco.