Iron Maiden
“Piece of mind”, 1983 (Emi)
Heavy/Metal
di Marco Caforio
Le prime impressioni, si sa, possono talvolta condurre ad abbagli ed errori di valutazione. Talaltra, invece, si rivelano perfettamente accurate.
Un esempio?
Prendete i primi tre secondi di “Where Eagles Dare”, con quella immortale rullata del neo-drummer Nicko McBrain, capace di ingenerare nell’ascoltatore quel misto di adrenalina, trepidazione e fomento… in poche parole, l’impagabile sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di epocale.
Così sarà, come la storia insegna: si può a ragione considerare gli Iron Maiden dei primi sette album una entità musicale irraggiungibile ed infallibile, ed il quartogenito non costituisce certo eccezione alla regola. Vi basterà posare le orecchie sulla commovente epicità di “Revelation”, sull’ormai leggendario riff galoppato di “The Trooper” (uno dei 4-5 brani davvero intoccabili nelle scalette live dei Nostri), o ancora sulle irresistibili melodie del mid-tempo “Flight of Icarus”, deliziosamente in bilico tra echi del compianto Ronnie James Dio e malcelate mire radiofoniche.
Le qualità di “Piece of Mind”, d’altro canto, rifulgono anche negli episodi meno noti al grande pubblico: penso alla travolgente “Die With Your Boots On”, all’oscura gemma dal titolo “Still Life”, senza dimenticare l’immane affresco sonoro di “To Tame a Land” (che si sarebbe chiamata “Dune” se Frank Herbert non avesse detestato l’heavy metal).
Difetti? Certo, giacché la perfezione non è di questo mondo.
Citerei ad esempio la produzione, spettacolare col senno di allora ma secchina anzichenò con le orecchie di oggi; potrei poi additare una seconda porzione di platter nel complesso meno ispirata della prima; difficile, poi, esimersi dal menzionare uno dei pochi brani genuinamente bruttini del vasto catalogo maideniano. Già, “Quest for Fire”, col tuo ritmo zompettante e le parossistiche linee vocali: ce l’ho proprio con te.
Quisquilie, ad ogni modo. “Piece of Mind”, di fatto, sancisce lo stato di grazia della Vergine, proiettandola in via definitiva nel gotha del panorama hard e scolpendo nella pietra quella che può a tutti gli effetti venir considerata la line-up storica della creatura albionica: Steve Harris, Bruce Dickinson, Nicko McBrain, Dave Murray ed Adrian Smith.
Impossibile far meglio di così.