Jeff Beck
“Truth”, 1968 (Epic)
Rock-Blues sprimentale
di Antonio Del Mastro
Chitarrista londinese di indiscutibile valore, dopo aver rilasciato tre album con i mitici Yardbirds dal ‘65 al ‘66 , Jeff Beck introduce il suo nuovo gruppo The Jeff Beck Group con l’album di debutto “Truth” nel 1968. Lo affiancano il cantante Rod Stewart ( sarà il suo trampolino di lancio per la carriera solista che conosciamo), Ronnie Wood alla chitarra ritmica, Ron Wood al basso e Mick Waller alla batteria. Composto da nove tracce, di cui sei cover, è un disco seminale che pur mancando di originalità viene considerato uno dei lavori più influenti degli anni ’60 a favore invece di una eccelsa musicalità. Con la sua creatività mette in mostra il suo superbo modo di suonare la chitarra, tra l’altro senza l’uso del plettro al pari di altri grandi virtuosi.
Disco in cui le eccellenti sezioni ritmiche tracciate dalle 6 corde del frontman, abbracciano oltre ad ottimi refrain vocali anche incursioni di tastiere e organo. Album in gran parte basato su sonorità sperimentali, Truth ha influenzato molti gruppi di genere hard & Heavy degli anni ’70. E lo dimostra già la versione degli Yardbirds di “Shapes Of Things” molto più ringhiante con la straordinaria voce di Stewart che con lui compone anche la gradevole “Let Me Love You”, il melodico “Blues Deluxe“ ed il potente “Rock My Plimsoul”. Credo che con “Morning Dew” si delinei la direzione stilistica di tutta l’opera, un intreccio di chitarra e ritornelli vocali. La ballata interamente acustica “ Greensleeves” è un rifacimento di un tradizionale brano folk inglese.
La rielaborazione del brano di Howlin Wolf “I Ain’t Superstitius” viene eseguito a suon di wah-wah e “You Shook Me” ripreso dagli Zeppelin nel loro primo album, in cui John Paul Jones si cimenta a suonare l’organo Hammond, contribuiscono allo spessore musicale di Beck & Co. Stessa cosa è fatta anche nel debole brano evocativo “Ol’ Man River”, che assieme alla strumentale e sbalorditiva “Beck’s Bolero”, tra l’altro scritta da Jimmy Page assieme a Keith Moon degli Who (dove si narra abbia distrutto il kit della batteria) fanno di questo album una pietra miliare da possedere nella propria collezione. Beneficiando del dubbio che chi lo ascolta per la prima volta può non apprezzarlo o giudicarlo troppo datato perché distante da certi standard musicali a cui siamo abituati nell’ascolto della musica in generale.
Sicuramente Beck con questo album spazia dal blues al folk e dall’hard rock al progressive, ma non lascia intendere con precisione la strada che intraprende in futuro. Strada che sarà discutibile, spesso poco chiara o per lo meno troppo azzardata durante gli anni non delineando quasi mai un genere specifico da potergli accostare. Soprattutto lo strafare con le idee musicali lo penalizzeranno a fronte di altri artisti meno dotati tecnicamente ma più convinti su cosa suonare (evito di elencarli per non offendere nessuno…). Di contro affermare che non ci saranno album che potranno competere con questo nella sua discografia è cosa vera a mio giudizio, tant’è che spesso viene accostato per similitudine al primo album degli Zeppelin. Opera travolgente, spavalda, pirotecnica, lontana dal rock energico e stradaiolo, quello metallico e veloce che esploderà negli anni successivi ma che sentenzia il tocco di classe dell’artista che sarà uno dei pionieri della musica Hard & Heavy.
Lunga vita alla leggendaria chitarra di Jeff Beck.
Buon ascolto…