La Principessa di corsa

La Principessa di corsa

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Le piccole storie di Maria Vittoria Grassi

C’era una volta una principessa sempre di corsa. Era nata così: impaziente, frettolosa, nervosa, incapace di seguire con calma tutte le operazion che normalmente esegue qualunque persona. Succhiava il latte alla svelta, cominciò a camminare e imparò le prime parole a pochi mesi, si mise a dare ordini a tutti quando ancora non aveva compiuto un anno. I suoi genitori, che avevano quell’unica figlia, ne erano più orgogliosi che preoccupati ma le avevano dato il nome di Iride per la velocità con cui appariva e spariva lasciando dietro di sé una scia multicolore di bambinaie affannate, maggiordomi disorientati e valletti frastornati.  A tavola Iride praticamente non si sedeva: aveva appena cominciato che già aveva finito e con il boccone on bocca schizzava fuori dal castello, a correre, innaffiare le aiuole, visitare le scuderie, accarezzare i cani di corte… e così via. Sua madre Sofia, placida e paziente scuoteva sorridendo il capo e diceva al marito on voce flautata: “Ha preso da te, caro, sei sempre così efficiente nel tuo lavoro…” Il marito, Placido XII, che non aveva mai fatto niente in tutta la sua vita se non allacciarsi e sistemarsi le fibbie delle scarpe, sorrideva compiaciuto: “È certamente così, cara, solo che lei per fortuna non ha tutti i miei impegni!” e si raddrizzava con orgoglio la fibbia sinistra. In realtà tutto si faceva molto complicato quando si trattava di Iride: a scuola imparava tutto molto velocemente ma pretendeva di fare più cose in simultanea. Mentre ripeteva la lezione di storia, sfogliava il libro di scienze, scriveva le formule di matematica, si grattava una caviglia, ascoltava musica con le cuffiette e si pettinava i capelli. Una volta addirittura si portò in classe u ferro da stiro e pretese di stirarsi una gonna durante una verifica di geografia. Per non parlare delle altre situazioni in cui inevitabilmente doveva impegnarsi: durante i ricevimenti, nelle varie visite di cortesia, nelle passeggiate in paese, dal medico di corte, certo Mosè, che si occupava della sua salute fin da bambina.

Proprio a Mosè si rivolsero, leggermente preoccupati, i reali genitori quando Iride compì diciotto anni. “Non che siamo preoccupati ma …” balbettava la regina Sofia. “Beh, ecco – aggiungeva re Placido tormentandosi le fibbie – il fatto è che praticamente non la vediamo mai tutta intera! Va sempre così di corsa che intravvediamo solo qualche piede in fuga o il suo viso che sparisce all’istante… È forse, effettivamente, un po’ troppo efficiente …” . Mosè conosceva benissimo da un pezzo la situazione e sapeva che prima o poi il problema avrebbe dovuto essere risolto. Iride era anche destinata a ereditare il regno e a prendersi le sue ovvie responsabilità. Si trattava di indurre la principessa fare almeno una cosa alla volta, ma come fare? C’era un rimedio? Pensa che ti pensa Mosè si ricordò di un suo vecchio maestro, certo Matusalemme, che aveva come motto “ Se vuoi campare non t’affannare!” .

Lo trovò nella sua casa di campagna mentre si tagliava con cura e unghie dei piedi. “Un’unghia al giorno, caro, gli disse, le cose vanno fatte con cura”. “Appunto!” approvò Mosè e gli espose il problema. “Mah – disse Matusalemme – ci devo pensare. Ripassa tra due anni”. “facciamo due mesi! – contrattò Mosè. E il vecchio accettò.

Dopo due mesi Matusalemme si recò al castello di re Placido. Si guardò attorno, seguì i comportamenti del re e della regina  e quelli di Iride; poi pensò, rimuginò, rifletté e si si ritirò in biblioteca per due giorni. Alla fine radunò tutti nel salone e spiegò. “Come pensavo è un raro caso di “Fibbiaggine” acuta  ereditaria. Ho notato che re Placido tormenta continuamente le fibbie delle sue scarpe. In questo modo ha trasmesso e continua a trasmettere alla figlia un intenso e fastidioso stimolo ai piedi che non le permette di camminare normalmente ma le mette l’ansia costante di correre e tenere i piedi in movimento. L’unico rimedio è che il re smetta di portare scarpe con fibbia e usi delle pantofole. In breve tempo si dovrebbero vedere dei risultati!”. Detto questo Matusalemme si ritirò esausto nella sua stanza e si riposò. Nel silenzio generale re Placido si sfilò le scarpe e diede un malinconico addio alle sue amate fibbie. Certo in seguito un re in eterne pantofole non giovò alla fama della corte ma la storia dice che iride fu una regina assennata e coraggiosa e questo ci deve bastare come lieto fine.

Un caro saluto e alla prossima, da Vittoria

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