Disco scelto e commentato da Alessandro Moretti, giornalista
Ascolta il Disco Base della settimana
1. RAGE AGAINST THE MACHINE "Wake Up"
2. RAGE AGAINST THE MACHINE "Bombtrack"
3. RAGE AGAINST THE MACHINE "Killing In The Name"
4. RAGE AGAINST THE MACHINE "Bullet In The Head"
5. RAGE AGAINST THE MACHINE "Freedom"
Mi sono svegliato quasi di soprassalto stanotte. Sentivo un rumore strano, un misto tra graffi e terra smossa. Eppure la gatta era addormentata sulle mie gambe e secondo il quadro dell’antifurto in casa non si muoveva nulla e non c’erano state manomissioni. Ci ho impiegato un po’ a capire di cosa si trattasse, devo confessarlo. Ma in realtà era davvero semplice. Era una colonna sonora del mio subconscio un po’ burlone che, dopo avere appreso che avremmo recensito “Rage against the machine XX”, giocava al simbolismo evocativo e produceva un rumore fantasioso che evocava il più classico raspare delle unghie sul fondo del barile. Del resto il fantasma degli anni Novanta inizia a essere una presenza inquietante, oggetto di un revival più o meno dichiarato e forse in procinto di esplodere in un futuro non troppo lontano – e vedersi riproporre i Rage Against The Machine con il loro debutto targato 1992 in uno scettico catafratto come me non poteva che sortire pregiudizi nemmeno troppo gratuiti. Ebbene, mi sbagliavo. Certo, riproporre un disco di 25 anni orsono – per una band che ha più o meno chiaramente fatto intendere di volere continuare a marciare sulla gloria giustamente conquistata, senza pubblicare nuovo materiale – non è un abbrivio che mette di buon umore, ma al netto di queste considerazioni ciò che resta è un disco che è invecchiato decisamente bene. Il funk-rap-alternative-metal di De La Rocha, Morello e compari ha retto bene al passaggio di due decenni e ai vari ricambi generazionali. Chi aveva 20 anni o poco meno nel ’92 molto probabilmente ha vissuto questo debutto come una specie di rivoluzione, la colonna sonora della ribellione al sistema (magari una ribellione che viaggiava un po’ troppo sui binari del sistema, ma sono discorsi vecchi e sterili, entro certi limiti); e chi ha 20 anni ora facilmente se lo godrà per quello che è… un buon disco di rock duro contaminato, una pietra miliare di un genere meticcio e bizzarro, una collezione di 10 brani che nella loro classicità hanno comunque ancora parecchie cartucce da sparare, prima di far ricorso alle armi chimiche della nostalgia.
Andrea Valentini