
Marianne Faithfull
“Broken english”, 1979 (Island)
songwriter
di Paolo Pisi
Marianne Faithfull, inglese, classe 1946, icona della Swingin’ London.
Lanciata giovanissima dal manager dei Rolling Stones con una canzone a firma Jagger – Richards (“As tears go by”, di cui gli stessi Stones fecero una versione in lingua italiana, “Con le mie lacrime”, peraltro unico loro cimento con il nostro idioma), con lo stesso Jagger la Faithfull inizierà una relazione che riempirà pagine e pagine di gossip e che le lascerà segni profondi.
Il suo stile musicale è particolare con un tono della voce e un vibrato profondo quasi anacronistico nel panorama beat, così come l’utilizzo di strumenti ed armonie inconsuete. Tributo a Sanremo (nel 1967 in coppia con Riki Maiocchi, “C’è chi spera”), ma in fondo poche concessioni all’Italia (un solo altro brano all’interno di un musicarello) e più in generale alla musica; maggiore la sua filmografia invece, a partire da un piccolo ruolo con Godard fino a interpretare da protagonista un film piuttosto scandaloso per l’epoca (“Nuda sotto la pelle” nel 1968) con Alain Delon.
La fine del decennio rappresenta il suo punto più basso non solo artistico, ma proprio di essere umano, oserei dire: la dipendenza, un aborto, la perdita della custodia del figlio avuto giovanissima dal suo primo matrimonio, l’oblio musicale e la vita allo sbando nei vicoli di Soho tra miseria e abbandono, tentativo di suicidio compreso.
Dopo una prima prova a metà degli anni settanta di riprendersi la vita e uno spazio artistico con un album di cover, nel 1979 assistiamo a una prepotente e inaspettata rinascita con l’album pietra miliare “Broken English”, aiutata da frequentazioni sane come David Wilkie dei Fleetwood Mac e soprattutto Steve Winwood: un disco quasi punk nelle sonorità e nei testi; la voce ha perso brillantezza e un’ottava in estensione, frutto di un decennio di autodistruzione, ma ha acquisito un’intensità spaventosa: Marianne aveva toccato il fondo, ma è risorta come l’araba fenice e in fondo è se stessa quella che racconta senza filtri nelle canzoni di questo album, come se le mille traversie spesso subite fossero diventati il bagaglio da cui fare emergere la propria ispirazione. Non c’è il messaggio pervaso di sacralità quasi messianica con aura sacerdotale di una Patti Smith o di una Nico, ma la ruvidezza dell’anti-eroina della canzone guida dell’album, “The ballad of Lucy Jordan”, che altro non è in fondo che la sua storia, mescolata con new wave, punk, blues e reggae. A questo seguiranno altri capolavori negli anni successivi, ugualmente intensi, ugualmente potenti.
Marianne parteciperà nel 1990 al grande concerto di “The Wall – Live in Berlin”, interpretando la madre di Roger Waters, e ritornerà al cinema interpretando “Maria Antonietta” di Sofia Coppola, nella parte di Maria Teresa d’Austria; subito dopo, nel 2007, è la protagonista assoluta di “Irina Palm, il talento di una donna inglese” di Sam Garbarski: qui la Faithfull, interpretando una anonima donna ultrasessantenne riesce a dare al personaggio delle sfumature che in certe espressioni degli occhi sembrano quasi voler far intuire, per poi subito celare, un passato differente dalla mediocrità e quotidianità della donna appare nel film: in fondo, il suo passato…
Marianne Faithfull è morta il 30 gennaio 2025 poco dopo aver compiuto 78 anni.